• Rapporti tra disastro ambientale e disastro innominato

    L’introduzione del delitto di disastro ambientale ex articolo 452-quater del Codice penale non ha determinato l’abrogazione del cosiddetto “disastro innominato” ex articolo 434, C.p.
    La Sezione prima della Corte di Cassazione ha ricostruito i rapporti tra le due fattispecie delittuose (disastro “innominato” e nuovo “disastro ambientale”) in riferimento alla condanna per “disastro” ex articolo 434, comma 2, Codice penale dei titolari di aziende della Campania; la clausola di riserva contenuta nell’articolo 452-quater che ha introdotto il nuovo delitto di disastro ambientale (“fuori dai casi previsti dall’articolo 434”) fa ritenere che non ci troviamo di fronte a una nuova incriminazione con conseguente abrogazione del vecchio delitto, ma di un trattamento penale modificativo, in cui il fatto lesivo permane nel suo nucleo essenziale e centrale di disvalore che il Legislatore ha rinnovato con l’aggiunta di elementi ulteriori, con funzione e connotati specializzanti.
    Il Legislatore ha inteso espressamente salvare i procedimenti in corso, ai quali si applica la disciplina vigente all’epoca, cioè il disastro “innominato” ex articolo 434, C.p.

    La Suprema Corte non si è espressa invece (non era pertinente al caso di specie) sulla possibilità che giusta la clausola di riserva, il reato di “disastro innominato” possa riguardare ipotesi di disastro ambientale che non sia possibile inquadrare nella fattispecie ex articolo 452-quater, Codice penale, per fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge 68/2015 che ha introdotto il nuovo delitto nel Codice.

    Inoltre secondo i Giudici:

    • Non vale, allora, il richiamo alla mancanza di verifiche scientifiche, per affermare l’impossibilità di provare l’esistenza del disastro ambientale, assumendo che il ragionamento logico e la massima di esperienza sia in sé recessiva rispetto a quella forma di prova.
    • … La sentenza impugnata coglie, pertanto, questo aspetto nella decisione di primo grado e ritiene erronea la conclusione nel suo presupposto logico. L’aver postulato, infatti, la necessità delle più volte indicate “misurazioni” determinava secondo i giudici della Corte d’appello l’istituzione di un meccanismo privo di supporto normativo, ergendo l’accertamento scientifico a mezzo di prova necessario dell’accertamento del disastro ambientale. Così, tuttavia, non è; l’integrazione tra fattispecie sostanziale di reato e mezzo di conoscenza processuale, in funzione della prova di esso non significa che il fatto debba passare necessariamente attraverso una prova di spessore scientifico o che se ne debba dare conto attraverso necessarie misurazioni.
      Ciò posto si comprende il ragionamento posto a fondamento della decisione impugnata.
      La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto che le diverse tonnellate di rifiuti pericolosi smaltite con lo spargimento sui terreni e attraverso la violazione delle disposizioni di settore incidesse irreparabilmente sulle matrici ambientali e inducesse l’evento di danno (disastro di cui all’art. 434 comma 2 cod. proc. pen.), alla luce di criteri di logica e di verosimiglianza che non si fondavano affatto su dati incerti, ma partivano da elementi certi. In questa prospettiva, si è avuto modo di indicare che erano state richiamate le tonnellate di prodotti trasferiti nei siti; le modifiche ai codici di identificazione dei rifiuti e i risultati delle analisi e delle conversazioni intercettate che davano conto della reiterata e prolungata modalità di gestione del trattamento.

    Qui la sentenza Cassazione penale 2017 58023

     

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