• solo se, cadendo al suolo, non subiscono alcuna contaminazione con inquinanti

    Le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, venendo, in caso contrario, assimilate alle acque reflue industriali anche per quanto concerne l’autorizzazione allo scarico.

    Con l’ordinanza in questione, la corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un soggetto condannato per aver effettuato scarichi di acque reflue industriali in assenza della prescritta autorizzazione.

    Il ricorrente, condannato in primo grado ai sensi degli artt. 124 e 137, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, alla sola pena dell’ammenda, aveva prospettato due motivi di merito che coinvolgono la disciplina degli scarichi idrici.
    In primo luogo sosteneva che lo scarico delle acque meteoriche di dilavamento non costituisse reato sul presupposto che la regione Emilia-Romagna non aveva emanato alcun atto normativo attuativo della disciplina di cui all’art. 113, D.Lgs. n. 152/2006.
    Il comma 3 di questo articolo, difatti, prevede che le Regioni possano disciplinare i casi in cui le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne debbano essere convogliate e trattate in impianti di depurazione ove vi sia il rischio di dilavamento di regioni in materia di trattamento di rifiuti ha rango costituzionale, dal momento che l’art. 208 del d.lgs. 152/2006 – attribuendo loro tali competenze –applica proprio il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost.

    Risulta così anche una evidente violazione dell’autonomia amministrativa che va riconosciuta alle regioni e che è costituzionalmente garantita.

    Per tutte le ragioni sopra esposte la Corte costituzionale ha ritenuto incostituzionale la normativa introdotta nel 2015, assorbendo tutti i motivi in quello principale.

    La miscelazione di rifiuti aventi caratteristiche omogenee di pericolosità o non pericolosi sarà quindi possibile solo previa autorizzazione regionale e con possibile presenza di idonee prescrizioni, in quanto essa è ritenuta una “operazione di trattamento”. sostanze pericolose da superfici esterne impermeabili. Secondo il ricorrente, quindi, la regione Emilia-Romagna non aveva disciplinato questo caso, dovendosi così ritenere penalmente irrilevante lo scarico da lui effettuato (da valutarsi, al più, come mera violazione amministrativa).

    In secondo luogo, denunciava l’inesatta e imprecisa assimilazione tra le acque reflue industriali e le acque meteoriche di dilavamento, dal momento che non vi era stata alcuna prova del contatto tra le acque meteoriche e le sostanze inquinanti che avrebbero  così mutato la natura giuridica del corpo idrico.

    La suprema Corte ha qualificato da subito come “reflui industriali” le acque provenienti dal dilavamento dei piazzali dell’impresa ricorrente, poiché le “acque meteoriche” sarebbero solamente quelle che – cadendo al suolo – non subiscono alcuna contaminazione con inquinanti e non anche quelle che sono modificate a seguito della contaminazione con sostanze presenti nei piazzali.

    In questo senso, quindi, le acque meteoriche contaminate sono assimilate ai reflui industriali ai sensi dell’art. 74, lettera h), D.Lgs. n. 152/2006; risulta del tutto irrilevante il fatto che la regione Emilia-Romagna non abbia disciplinato lo scarico delle acque meteoriche di dilavamento, poiché la condotta integra il reato di scarico non autorizzato di reflui industriali.

     

    La sentenza la puoi scaricare qui Cassazione Penale 2017 24337

     

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