• Bonifica, carattere non retroattivo del d. Lgs 22/1997

     

     

    I giudici del Consiglio di Stato hanno così stabilito:

     

    .. In linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225; Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Sez. IV, 7 maggio 2019, n. 2926; da ultimo, Adunanza Plenaria, 22 ottobre 2019, n. 10) e della stessa Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32142), le norme in materia di obblighi di bonifica “non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente […]. Del resto, la risalenza dell’evento generatore dell’inquinamento funge da fattore di esclusione dell’applicazione della normativa del d.lgs. n. 152 del 2006 con esclusivo riferimento agli istituti delineati dalla Parte VI, mentre gli articoli 242 e 244 sono dettati nell’ambito della Parte IV (cfr., in proposito, l’art. 303, lett. f] e g], del decreto n. 152); inoltre, l’art. 242 menziona espressamente i casi di contaminazioni cosiddette “storiche” (cfr. i commi 1 e 11)” (così la richiamata Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761). In proposito, deve ribadirsi che l’articolo 242, comma 1, del codice dell’ambiente, nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche”, ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (recte, conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “aggravamento della situazione” sia ancora attuale. Il riferimento alle “contaminazioni storiche” è, del resto, indistinto, cosicché sarebbe arbitrario limitare l’applicazione della norma alle sole contaminazioni che si siano verificate dopo l’entrata in vigore del codice dell’ambiente o dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo numero 22 del 1997, che per primo disciplinò gli obblighi di bonifica; in senso contrario può, anzi, osservarsi che l’aggettivo “storiche” rimanda, anche da un punto di vista semantico, a contaminazioni verificatesi in epoca remota, tali appunto da appartenere non all’attualità, ma alla storia del Paese. Su un piano più generale, poi, risulta ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti). Invero, il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico (art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione. Del resto, l’ambiente è oggetto di protezione costituzionale diretta (art. 9) ed indiretta (art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che, pertanto, impongono l’ascrizione all’area dell’illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere: – nello svolgimento di attività già per loro natura intrinsecamente pericolose; – nell’ambito di un’iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della “utilità sociale” (art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell’ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla “utilità sociale”. Ne consegue che il danno all’ambiente (inteso quale diminuzione della relativa integrità, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non bio-degradabili) era ab imised ab origine ingiusto (cfr. la richiamata pronuncia dell’Adunanza Plenaria 22 ottobre 2019, n. 10). Si osserva, in proposito, che la fattispecie di responsabilità civile ha nel nostro ordinamento, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, un carattere “aperto” e non chiuso, tipizzato, tassativo. L’obbligo di bonifica stabilito per la prima volta dal d.lgs. n. 22 del 1997, dunque, andava semplicemente a completare, integrare e precisare il regime e le forme della responsabilità conseguente alla commissione di condotte che già, comunque, erano ab origine contra jus. Ciò è tanto più vero con riguardo all’inquinamento derivante dalla dispersione nell’ambiente di mercurio, sostanza già da tempo riconosciuta come pericolosa e gravemente nociva per la salute. In senso contrario non rilevano: – né il fatto che le direttive europee in materia di obblighi di bonifica disciplinino solo fatti commessi dopo la rispettiva entrata in vigore, in quanto il diritto dell’Unione non esclude la possibilità per i legislatori nazionali di introdurre regimi di maggior tutela dell’ambiente, correlando obblighi di bonifica anche a contaminazioni storiche; – né la giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di responsabilità penale per contaminazioni ambientali, in quanto in materia penale i principi di irretroattività del reato e della pena si impongono in termini assoluti e stringenti, mentre gli obblighi di bonifica previsti dal Titolo IV del Codice dell’ambiente non hanno finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, bensì natura riparatoria e ripristinatoria in relazione ad una situazione di (ancora) attuale inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668); – né il generale principio di tutela dell’affidamento, che, invero, è da riferirsi all’affidamento incolpevole, chiaramente non predicabile con riferimento al soggetto che, a suo tempo, abbia consapevolmente posto in essere, nell’esercizio di attività giuridicamente qualificabili come pericolose, condotte che, a prescindere da specifiche disposizioni di settore all’epoca in vigore, avevano un’oggettiva, intrinseca ed evidente capacità, quanto meno potenziale, di determinare, aggravare o, comunque, agevolare la contaminazione dell’ambiente. 

     

    Qui la sentenza CdS 2020 2195 

     

     

     

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