• Corte Costituzionale, illegittima limitazione alla localizzazione impianti rifiuti

     

     

    La Corte Costituzionale torna ancora una volta a cassare una Legge Regionale che limita l’installazione degli impianti di gestione rifiuti, in particolare secondo i ricorrenti:

     

    Premesso che la normativa sui rifiuti appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, il ricorrente osserva che gli artt. 195, comma 1, lettera p), e 196, comma 1, lettere n) e o) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) consentono alla Regione, sulla base dei criteri generali dettati dalla normativa statale, di definire criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti.

    Le norme regionali impugnate, viceversa, vietano l’installazione degli impianti a 5 chilometri di distanza dai centri abitati e da «funzioni sensibili», ovvero, aggiunge il ricorrente, da «strutture scolastiche, asili, ospedali, case di riposo e case circondariali».

    In tal modo, anziché un criterio di localizzazione coerente con la normativa statale, si sarebbe introdotta una illegittima limitazione alla localizzazione, che non permetterebbe né di identificare con certezza le aree interdette, né di individuare in positivo le aree idonee. Mancherebbe, inoltre, a causa del carattere legale del divieto, la «concreta istruttoria tecnica preordinata all’equo contemperamento degli interessi coinvolti».

     

    La Corte quindi ha così deciso

    La questione di costituzionalità dell’art. 2 impugnato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è fondata.

    Il ricorrente ha anzitutto sostenuto che, nell’ambito di una materia assegnata alla competenza legislativa esclusiva statale, la Regione non avrebbe potuto fissare nella forma della legge regionale i criteri di individuazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti, perché, invece, sarebbe stato necessario pronunciarsi all’esito di un procedimento amministrativo. …

    Va aggiunto che un simile indirizzo legislativo rappresenta un coerente sviluppo delle premesse formulate con l’individuazione degli obiettivi che il piano si prefigge, e con l’ulteriore contenuto che esso assume.

    L’attività di pianificazione è per propria natura devoluta a realizzare una trama unitaria nell’assetto del territorio, ove confluiscono i più vari, e talvolta divergenti, interessi che la legge persegue. Sempre più presente nell’ordinamento, e tipica dell’attività amministrativa, è perciò l’esigenza di raggiungere un punto di sintesi, adottando scelte non frazionate, ma sensibili al contesto di pianificazione al quale vengono a sovrapporsi.

    L’art. 199, comma 5, del cod. ambiente, stabilendo che «il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente» persegue proprio tale scopo. Ad esso la disposizione regionale impugnata viceversa si sottrae, ricorrendo ad un divieto di localizzazione insensibile alla concomitante pianificazione regionale, oltre che frutto di una scelta lontana da ogni concreto apprezzamento in ordine alla conformazione del territorio marchigiano.

    È invece necessario che il citato piano adatti i criteri di esclusione di certe porzioni di territorio alla effettiva conformazione dello stesso, fuggendo divieti astratti che, anche in quanto formulati senza una visione sinottica della pianificazione, rischiano di tradursi in un forte ostacolo alla (se non persino nella impossibilità di), realizzazione degli impianti, con conseguente illegittimità costituzionale (sentenze n. 154 del 2016 e n. 285 del 2013).

     

    qui la pronuncia_272_2020

     

     

     

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