Una ulteriore circolare del Ministero a chiarimento del decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264
Secondo il ministero il D.M. 264/2016 “non innova in alcun modo la disciplina sostanziale” e fornisce delucidazioni sui principali aspetti della disciplina.
In particolare il DM 264/2016 non contiene un elenco di materiali senz’altro qualificabili come sottoprodotti o di trattamenti senz’altro costituenti “normale pratica industriale”, in quanto la valutazione sul rispetto delle condizioni richieste per qualificare le biomasse “residuali” come sottoprodotti, nel rispetto delle regole generali, deve “comunque essere rimessa ad un’analisi caso per caso”.
Sotto il profilo sostanziale, si conferma che la qualifica di sottoprodotto non potrà mai essere acquisita in un tempo successivo alla generazione del residuo, non potendo un materiale inizialmente qualificato come rifiuto poi divenire sottoprodotto.
Relativamente all’onere dalla prova, la Circolare ha cura di precisare che ogni soggetto che interviene lungo la filiera è tenuto alla dimostrazione dei requisiti richiesti dalla legge per la qualifica come sottoprodotto limitatamente a quanto sia nella propria disponibilità e conoscenza, non essendo esigibile una estensione degli oneri probatori a fasi rispetto alle quali il soggetto medesimo non ha possibilità di verifica e controllo. Pertanto, nel caso in cui lungo la filiera si verifichino circostanze che determinano la perdita dei requisiti richiesti dalla legge per la qualifica come sottoprodotto, ed essendo considerato produttore del rifiuto il soggetto che lo detiene immediatamente prima che diventi tale, viene meno la responsabilità dei detentori precedenti rispetto ad eventi sopravvenuti e indipendenti dalla loro volontà ed attività.
A chiarimento del concetto di “normale pratica industriale”, la Circolare chiarisce che le operazioni svolte sul residuo non devono essere necessarie a conferire allo stesso particolari caratteristiche sanitarie o ambientali che il residuo medesimo non possiede al momento della produzione, perché lo scopo della disposizione è quello di evitare che, inquadrando come “normale pratica industriale” un’attività (ad esempio, finalizzata a ridurre la concentrazione di sostanze inquinanti o pericolose), possano essere sostanzialmente eluse le disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e le relative necessarie cautele ed autorizzazioni.
Circa la legalità dell’utilizzo, Il Ministero precisa che se esiste una disciplina che regolamenta l’uso del sottoprodotto, la mancata rispondenza dello stesso ai requisiti richiesti dalla norma o l’aver effettuato un impiego difforme rispetto a quanto previsto, ne determina la qualifica come rifiuto, per mancata sussistenza del requisito di cui trattasi; quando, invece, non via siano particolari vincoli normativi fissati per l’utilizzo del materiale, rimane comunque ferma la necessità di dimostrare che l’impiego dello stesso non porterà ad impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
La Circolare ammette che sebbene sia riconosciuta la possibilità che il trattamento sia effettuato anche da soggetti intermediari, l’eventuale eccessiva molteplicità di passaggi e di operatori lungo la filiera potrebbe rendere maggiormente complicata la dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.
Infine, con riguardo alla piattaforma di scambio tra domanda e offerta ed elenco dei sottoprodotti, la circolare precisa che la possibilità di gestire un residuo quale sottoprodotto e non come rifiuto non dipende in alcun modo, né in positivo né in negativo, dalla esistenza della documentazione probatoria prevista nel decreto né – tantomeno – dalla iscrizione nell’elenco istituito presso le Camere di commercio. Peraltro, l’istituzione e la tenuta dell’elenco non prevedono alcuna attività istruttoria, sotto il profilo amministrativo, da parte delle Camere di commercio competenti: queste ultime, infatti, si limitano ad acquisire le domande di iscrizione e a riportare tali dati nell’elenco.