• abrogata l’introduzione all’allegato D

    Nota di presentazione del Decreto Legge al Senato della Repubblica

    L’articolo 9 presenta carattere di necessità e urgenza in quanto interviene su alcune disposizioni della disciplina nazionale in materia di classificazione dei rifiuti che presentano profili di criticità tali da compromettere l’intero funzionamento del sistema di gestione dei rifiuti a livello nazionale e, in particolare, nel Mezzogiorno d’Italia.
    Il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha apportato, con l’articolo 13, comma 5, lettera b-bis), modificazioni al sistema di classificazione dei rifiuti all’epoca vigente, dettagliando in particolare le modalità di classificazione per i rifiuti con codici CER a specchio.
    In particolare, tale modifica non appare giustificata da novità introdotte dalla normativa europea né, tantomeno, da esigenze degli operatori o degli enti preposti al controllo. La novella ha infatti introdotto nell’allegato D del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, una premessa che reca specifiche relative alla metodologia di classificazione dei rifiuti come pericolosi. Le disposizioni introdotte con il predetto articolo sono entrate in vigore poco prima del regolamento (UE) n. 1357/2014, che sostituisce l’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, nonché della decisione 2014/955/UE che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all’elenco europeo dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, entrambi entrati in vigore il 1º giugno 2015.
    Inoltre, si evidenzia che, antecedentemente alle novità introdotte dal cosiddetto «decreto
    competitività», le norme vigenti già fornivano agli operatori del settore gli strumenti per procedere ad una adeguata classificazione dei rifiuti prodotti. Dalla lettura coordinata di quanto indicato all’articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006 ed agli allegati D ed I, parte IV, del medesimo decreto, appare chiaro che gli operatori, in qualità di produttori, devono attribuire al rifiuto prodotto il corrispondente codice CER, identificando preliminarmente la fonte che lo ha generato. Nel paragrafo «introduzione», contenuto nell’allegato D del citato decreto, sono elencati i vari passaggi che devono essere rispettati per addivenire alla corretta attribuzione del codice CER per ciascun rifiuto; nello stesso paragrafo, al comma 5, sono altresì richiamati gli specifici riferimenti per la classificazione dei rifiuti come pericolosi.
    L’articolo 190 del decreto legislativo n. 152 del 2006 impone in generale ai soggetti produttori iniziali di rifiuti, ovvero anche ai soggetti detentori di rifiuti, di annotare nel registro di carico e scarico le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti prodotti entro tempistiche ben precise.
    Dal quadro sintetico sopra evidenziato emerge pertanto che il quadro normativo nazionale, antecedente l’emanazione del cosiddetto «decreto competitività», risultava di per sé adeguato alle esigenze del sistema.
    Dunque, l’articolo 13, comma 5, lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91, ha di fatto introdotto a far data dal 18 febbraio 2015 delle disposizioni non sottese da reali esigenze o lacune normative.
    A titolo esemplificativo, il fatto che la classificazione dei rifiuti sia effettuata dal produttore
    assegnando ad essi il competente codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, (punti 1 e 7 della premessa sulla classificazione introdotta dal decreto competitività), è un concetto che emerge già dalla lettura della norma nazionale e dagli ulteriori atti europei che non richiedono tra l’altro diretto recepimento.
    Con l’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1272/2008 sulla classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze chimiche, nonché del regolamento (UE) n. 1357/2014 sulle caratteristiche di pericolo dei rifiuti, nonché della decisione 2014/955/UE recante il nuovo elenco europeo dei rifiuti, è stato profondamente modificato il quadro giuridico del settore.
    In particolare, con la decisione 2014/955/UE è stata modificata la decisione 2000/532/CE introducendo il nuovo elenco europeo dei rifiuti e con il regolamento (UE) n. 1357/2014 è stato sostituito l’allegato III alla direttiva quadro sui rifiuti rinnovando in modo sostanziale le regole per l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti. Tali provvedimenti sono immediatamente applicabili nel panorama normativo italiano.
    Invece, le ulteriori disposizioni in tema di classificazione dei rifiuti (punti da 2 a 6 della citata premessa) introducono modalità applicative di fatto difficilmente attuabili a fronte di interpretazioni fortemente restrittive della norma.
    In ragione delle perplessità sulla novella introdotta alla normativa nazionale manifestate da parte degli operatori del settore, degli enti di controllo, degli istituti tecnici, delle associazioni di categoria e delle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare si è attivato per emanare un decreto ministeriale per allineare l’allegato D del decreto legislativo n. 152 del 2006 alle predette modifiche normative intervenute in sede europea.
    Nello specifico, infatti, la premessa all’allegato D:
    1) richiede di «a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto;»
    Inoltre il successivo punto 6 afferma che: «Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso».
    Al contrario, la decisione 955/2014/UE della Commissione, nel paragrafo «VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE», punto 2 «classificazione di un rifiuto come pericoloso», specifica che la classificazione di un rifiuto come pericoloso deve essere effettuata ricercando, non tutte le sostanze che possono conferire le caratteristiche di pericolosità al rifiuto, ma solo quelle pericolose «pertinenti».
    Dalla lettura della premessa dell’allegato D sembrerebbe altresì che per individuare i composti presenti nel rifiuto si debba necessariamente procedere attraverso tutte e tre le fasi indicate (la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto). Al contrario, la decisione della Commissione prevede che i campionamenti e le analisi del rifiuto non debbano essere necessariamente eseguite se il produttore dispone di sufficienti informazioni che gli consentono di classificare il rifiuto;
    2) fa riferimento alle «frasi di rischio» specifiche dei componenti presenti nei rifiuti al fine di definire la modalità di classificazione dei rifiuti; di contro la decisione non fa più riferimento a tali «frasi di rischio», ma la metodologia ivi stabilita si basa esclusivamente sui «codici di classe e categorie di pericolo», nonché sui «codici di indicazione di pericolo».
    Oltre ad essere in contrasto con la norma europea, la premessa dell’allegato D risulta di fatto inapplicabile nella pratica.
    Infatti, una interpretazione restrittiva, relativamente ai composti da ricercare nei rifiuti, intesa come conoscenza «integrale» di ciò che è contenuto nel rifiuto e non di cosa è «ragionevole» ricercare nello stesso, comporta l’impossibilità di dimostrare e quindi di classificare il rifiuto come non pericoloso anche quando lo stesso non possiede alcuna delle caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98/CE.
    La classificazione di tutti i rifiuti, per i quali non è nota la composizione «integrale», come pericolosi (rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti urbani), determinerebbe la paralisi dell’intero sistema di gestione dei rifiuti nazionale.
    Tuttavia, il predetto schema di decreto ministeriale predisposto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, pur avendo acquisito il parere positivo dell’ISPRA, i concerti dei Ministeri interessati (salute e sviluppo economico), nonché il parere positivo della Conferenza unificata, è stato bloccato dal Consiglio di Stato che ha ritenuto che, essendo intervenuta una norma di rango primario sull’allegato D, del decreto legislativo n. 152 del 2006, lo stesso allegato non potesse più essere modificato con decreto ministeriale. Il Consiglio di Stato ha rilevato, inoltre, l’illegittimità della premessa dell’allegato D del decreto legislativo n. 152 del 2006, introdotta con il decreto-legge n. 91 del 2014, in quanto superata dall’intervenuta normativa europea. Il Consiglio di Stato, nel parere reso il 14 maggio 2015, ha così precisato: «Quanto, poi, al parere di quest’ultimo Istituto, si concorda con il suggerimento di eliminare il paragrafo “Classificazione dei rifiuti” non contenuto nella normativa europea, anche perché si tratterebbe di norme introdotte con il più volte citato decreto-legge n. 91 del 2014, che sono da ritenersi interamente abrogate dai recenti provvedimenti adottati in sede europea».
    Vista l’impossibilità di procedere ad un riallineamento della norma nazionale con quella europea tramite decreto ministeriale, nelle more di una organica revisione della disciplina da effettuarsi mediante uno strumento normativo idoneo, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato la circolare 28 settembre 2015 (n. protocollo RIN 1845), che ha fornito i chiarimenti necessari agli operatori del settore: «Preliminarmente, si ribadisce che dal 1º giugno 2015 il regolamento e la decisione trovano piena ed integrale applicazione nel nostro ordinamento giuridico e che, di conseguenza, a decorrere dalla medesima data, gli allegati D ed 1 del suddetto decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non risultano applicabili, laddove essi risultino in contrasto con le suddette disposizioni dell’Unione europea. In particolare per quanto concerne l’Allegato D al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si precisa che continuano ad applicarsi soltanto i punti 6 e 7 del paragrafo intitolato “Introduzione”, in quanto costituiscono recepimento di una disposizione comunitaria introdotta con l’articolo 7, paragrafi 2 e 3 della direttiva 2008/98/CE, ancora vigente nel quadro normativo comunitario e non modificata dalle disposizioni in questione».
    In conclusione, la disposizione in esame, elimina la classificazione dei rifiuti, cosi come introdotta dall’articolo 13, comma 5, lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, mantenendo solo la previsione che la classificazione è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER. La norma dispone altresì che a tale classificazione si applicano le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357 del 2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014.

    Testo del Decreto Legge Decreto Legge 2017 91

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