• Fanghi di depurazione, CSC e potere delle regioni

     

    I Giudici così scrivono nella sentenza:

    • .. non può essere sufficiente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’utilizzazione dei fanghi, la sola verifica dell’assenza, nel suolo destinato alle operazioni di spandimento o nei fanghi, delle sole sostanze e nei limiti di concentrazione indicati, rispettivamente, nelle tabelle IA e IB allegate al suddetto testo normativo
    • dovendo la gestione di ogni sorta di rifiuto, e quindi anche dei fanghi derivanti da impianti di depurazione, conformarsi “… ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione…” (art. 178 comma 1 d.lgs. n. 152/2006), il coordinamento esegetico tra la disciplina concernente l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi e quella relativa ai rifiuti, finalizzata alla più ampia protezione dell’ambiente, implica inevitabilmente un’indagine analitica accurata che escluda il rischio di contaminazioni delle matrici ambientali, e segnatamente dei suoli, e verifichi se questi ultimi non siano già, a loro volta, connotati da contaminazioni rilevanti
    • risulta quindi razionale e affatto corretto il riferimento ai valori  soglia di concentrazione di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5, alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, perché essi individuano le sostanze e le soglie massime di concentrazione in funzione delle quali la matrice ambientale non può considerarsi idonea a ricevere ulteriori sostanze contaminanti e semmai deve essere assoggettata a bonifica; e ciò a prescindere dall’applicabilità del d.m. 5 febbraio 1998, invocata dall’appellante principale e contestata dall’appellante incidentale. …. l’art. 41 del d.l. 28 settembre 2018, n. 119, convertito nella legge 16 novembre 2018, n. 130 (c.d. decreto Genova) in effetti conferma l’applicabilità di quei valori, posto che se esso tiene ferma “…ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi…i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto…”, nondimeno, nell’indicare nuovi specifici limiti per talune sostanze elencate nella tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, evidentemente ribadisce e conferma l’applicabilità della suddetta tabella.
    • Non può invece condividersi l’assunto del giudice di primo grado in ordine all’esistenza di un potere regionale di “adattamento” dei valori soglia in funzione di una casistica valutazione delle caratteristiche dei fanghi ossia di una possibilità che essi siano “…riparametrati in aumento, sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti”. … Tale potere non è in alcun modo riconducibile a quello disciplinato dall’art. 6 n. 2 del d.lgs. n. 99/1992, secondo cui le regioni “…stabiliscono ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento”, posto che esso si riferisce a limiti “ulteriori” e quindi semmai più restrittivi, e non consente di derogare alla disciplina nazionale necessariamente uniforme in ambito riservato all’esclusiva competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost.

     

    Qui la sentenza CdS 2019 5920

     

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