• Fanghi di depurazione, rifiuti?

     

     

    Secondo i Giudici:

     

    L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 3, punto 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, devono essere interpretati nel senso che i fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento congiunto, in un impianto di depurazione, di acque reflue di origine industriale e domestica o urbana e inceneriti in un impianto di incenerimento di materiali residui ai fini del recupero di energia mediante produzione di vapore non devono essere considerati rifiuti se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva 2008/98 sono già soddisfatte prima del loro incenerimento. Spetta al giudice del rinvio accertare se ciò si verifichi nel procedimento principale. Nella fattispecie, in particolare, si deve verificare, sul fondamento di un’analisi scientifica e tecnica, che i fanghi di depurazione soddisfino i valori limite legali per le sostanze inquinanti e che il loro incenerimento non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

     

    Il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, segnatamente connessi all’eventuale presenza di sostanze pericolose. A mente della disciplina in materia, la qualifica di «rifiuto» deriva anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine «disfarsi». Per quanto riguarda l’espressione «disfarsi», risulta altresì che tale espressione va interpretata alla luce dell’obiettivo della direttiva 2008/98 che, ai sensi del suo considerando 6, consiste nel ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente, nonché dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, a tenore del quale la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva. Ne consegue che il termine «disfarsi» e dunque la nozione di «rifiuto», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98, non possono essere interpretati in modo restrittivo. Sicché, dalle disposizioni di detta direttiva risulta inoltre che il termine «disfarsi» comprende, al contempo, il «recupero» e lo «smaltimento» di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’articolo 3, punti 15 e 19, di tale direttiva. Più in particolare, l’esistenza di un «rifiuto» ai sensi della direttiva 2008/98 va accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto dell’obiettivo di tale direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia. Pertanto, talune circostanze possono costituire indizi dell’esistenza di un’azione, di un’intenzione o di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto, ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98. Tra le circostanze che possono costituire indizi del genere figura il fatto che la sostanza utilizzata sia un residuo di produzione o di consumo, ossia un prodotto che non sia stato ricercato in quanto tale.

     

    qui la sentenza Corte europea C‑629 19

     

     

     

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