• Omessa valutazione del rischio, seppur raro

    Con sentenza del 17 gennaio 2018 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio con cui G.D., nella qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione della M.M.T. s.r.l. e B.DV., nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in cooperazione colposa fra di loro, sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, per avere cagionato a P.DN., operaio addetto alla produzione con macchine di stampaggio ad iniezione, lesioni personali gravi -ustioni di primo e secondo grado al volto ed alla mano destra- da cui era derivata l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni. La condotta colposa rimproverata, sotto il profilo dell’imprudenza, della negligenza e dell’imperizia, nonché dell’inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare dell’art. 2087 cod. civ. e 29 comma 1A del d.lgs. 81/2008, è consistita nell’avere entrambi omesso di valutare il rischio cui erano esposti i lavoratori durante le operazioni di rimozione del materiale plastico dall’estrusore di una pressa ad iniezione, e conseguentemente nel non avere indicato nel documento di valutazione dei rischi le misure di prevenzione e protezione da attuare ovvero una procedura delle misure da realizzare per l’operazione.

    Secondo i Giudici

    “In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110901; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016 – dep. 16/05/2016, Serafica e altro, Rv. 26725301).
    I cardini sui quali il datore di lavoro deve fondare l’analisi e la previsione dei rischi sono, dunque, in primo luogo, la ‘propria esperienza’, l’evoluzione della scienza tecnica ed infine ‘la casistica’ verificabile nell’ambito della lavorazione considerata.
    E’ chiaro che, su questa base, la previsione e prevenzione del rischio deve ‘coprire’ qualsiasi fattore di pericolo evidenziato nell’evoluzione della ‘scienza tecnica’ e non solo dall’esperienza che l’imprenditore sviluppi su una certa attività o su uno specifico macchinario, che egli abbia potuto direttamente osservare. Non basta, cioè, a giustificare la mancata previsione del pericolo nel documento di valutazione dei rischi, né che la sua realizzazione non si sia mai presentata nello svolgimento dell’attività concreta all’interno dell’impresa, né che esso non rientri nell’esperienza indiretta del datore di lavoro, per considerare ‘non noto’ il rischio occorre che anche la scienza tecnica non abbia potuto osservare l’evento che lo realizza. Solo in questo caso viene meno l’obbligo previsionale del datore di lavoro, cui non può richiedersi di oltrepassare il limite del sapere tecnico-scientifico, con un pronostico individuale.
    La conclusione che deve trarsi da questa premessa è che l’evento ‘raro’, in quanto ‘non ignoto’, è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto, in quanto rischio specifico e concretamente valutabile. L’evento raro, infatti, non è l’evento impossibile. Anzi è un evento che, per definizione, prima o poi si verifica, ma il suo positivo realizzarsi è connotato da una ‘bassa’ frequenza statistica.
    E, per finire,  la prospettazione formulata si concentra sulla configurabilità dell’evento come eccezionale e quindi imprevedibile, il che, secondo il ricorrente comporrebbe l’inquadramento del fatto nell’ipotesi del caso fortuito di cui all’art. 45 cod. pen., esclusivo della punibilità dell’agente. Si tratta di una costruzione che è smentita da quanto fin qui osservato, posto che il caso fortuito “consiste in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente (ex multis Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012 – dep. 12/02/2013, D’Amico, Rv. 25447901) e che l’evento che forma oggetto di questa decisione non era di per sé imprevedibile.

     

    Qui la sentenza Cassazione penale 2019 27186

Comments are closed.